In
Italia, solo quelle di ruolo sono più di mezzo milione: quasi l’82%, una delle
percentuali più alte al mondo. Nel 2018 potranno lasciare il lavoro come gli
uomini, con la Buona Scuola saranno decine di migliaia costrette ad essere
assunte lontane dalla loro regione e in larga parte a rimanervi per tre anni. E
lo stesso vale per tutte quelle di ruolo che continuano a chiedere di
avvicinarsi a casa, ma una norma anacronistica sui trasferimenti le continua a
tenere lontane dai loro affetti.
Marcello
Pacifico (Anief-Confedir): è scientificamente
provato che svolgono il mestiere che impegna di più in relazioni umane e nello
sviluppo della persona. Ma paradossalmente è anche quello che è stato più
sacrificato sull’altare dei tagli nella pubblica amministrazione. E poco conta
che a pagare il prezzo di questo errore sono anche gli alunni, che si ritrovano
una fetta sempre più grande di docenti demotivati e stanchi.
Diventa sempre più in salita la strada
delle donne che insegnano nella scuola pubblica: dopo la “stretta” introdotta
dalla riforma Fornero, con l’innalzamento progressivo dell’età pensionabile,
tanto che nel 2018 potranno
lasciare il lavoro solo a 67 anni, con la Buona Scuola saranno decine di
migliaia costrette ad essere assunte lontane dalla loro regione di appartenenza
e costrette in larga parte a rimanervi per tre
anni.
E lo stesso vale per tutte quelle di ruolo che continuano a chiedere di
avvicinarsi a casa nell’ultimo periodo, ma una norma
anacronistica sui trasferimenti le continua a tenere lontane dai loro
affetti.
Il sindacato chiede da tempo di
applicare delle deroghe per il mondo della scuola, ma la politica che continua
a prevalere, concentrata a risparmiare sulla pelle dei lavoratori, va verso la
direzione opposta. Ricordiamo che nella categoria dei docenti, le donne
rappresentano l’81,1%: se ci fermiamo all’organico di diritto, 665.332 posti,
si tratta quindi di oltre mezzo milione di insegnanti. In Europa solo un Paese,
l’Ungheria, conta una presenza maggiore di sesso femminile (82,5%).
Se ci si concentra sulla scuola
d’infanzia, in Italia si stabilisce un record mondiale: solamente lo 0,4% di
maestri sono uomini. Una presenza che alle superiori si riduce sensibilmente,
ma sfiorando il 60% costituisce sempre la grande maggioranza. Anche in questo
caso si tratta di una caratteristica tipicamente italiana: basti pensare che in
Germania le donne di ruolo impegnate nella scuola secondaria di secondo grado
sono appena il 46,2%.
A causa dei 200mila tagli di posti
degli ultimi anni, inoltre, il loro reclutamento è diventato sempre più
complicato: i docenti precari sono stati tagliati del 25%, mentre quelli di
ruolo sono scesi del 6%. Così il tempo di attesa che porta alla stabilizzazione
si è allungato. Tanto è vero che oggi le nostre docenti con meno di 30 anni
sono appena lo 0,5%: in
Germania sono il
3,6%, in
Austria e Islanda il 6%, in Spagna il 6,8%.
Ma anche in “uscita” il percorso delle
donne insegnanti si fa sempre più difficile: quest’anno le norme per accedere
all'assegno pensionistico hanno portato le lavoratrici del pubblico a lasciare
il servizio a 63 anni e 9 mesi. Nel 2018 per entrambi i sessi serviranno quasi
67 anni: per comprendere l’enormità del numero, basta dire che 20 fa, prima
della riforma Amato, le insegnanti potevano lasciare anche a 55 anni. Esemplare
è la triste vicenda dei
‘Quota 96’, che
a due anni e mezzo di distanza dall’introduzione della riforma Monti-Fornero
ancora non trova luce.
Inoltre l’‘opzione donna’,
reintrodotta dal Governo negli ultimi mesi, si è rivelata una beffa: la
possibilità, prevista dalla legge 243 del 2004, per le lavoratrici con almeno
35 anni di contributi e 57 anni d’età di andare in pensione, ha avuto un prezzo
davvero salato da pagare, fino al 39% di perdita
dell’assegno pensionistico.
“Tutto ciò avviene – spiega Marcello
Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - malgrado sia
stato scientificamente provato che chi opera nella scuola svolge uno dei lavori più
stressanti e a rischio burnout: è il mestiere che
impegna di più in relazioni umane e nello sviluppo della persona. Ma
paradossalmente è anche quello che è stato più sacrificato nell’altare dei
tagli nella pubblica amministrazione. E poco conta che a pagare il prezzo di
questo errore sono anche gli alunni, che si ritrovano una fetta sempre più
grande di docenti demotivati e stanchi”.
In Italia, la correlazione tra stress
da insegnamento e patologie è stata confermata dallo studio decennale ‘Getsemani’ Burnout
e patologia psichiatrica negli insegnanti, da cui è emerso che
la categoria degli insegnanti è quella che di più conduce verso patologie
psichiatriche e inabilità al lavoro: dallo studio è emerso che ad essere
stressati per il lavoro logorante sono, a vario titolo, il 73 per cento dei
docenti. Quasi l’82% sono donne.
Per
approfondimenti:
7 marzo 2015
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